Pensi che quando raggiungerai una certa età le cose inizieranno ad avere un senso. Poi scopri che sei perduto, come lo eri prima. Suppongo che questa sia la dannazione. I pezzi della tua vita non si riuniscono mai. Vengono solo sbattuti in giro
Knight of Cups, Terrence Malick
Che a proposito dello sviluppo economico mi vengono in mente due o tre cose che non mi sono mai tornate e non sono riuscito a mettere mai insieme.
La prima faccenda che non mi torna consiste nel fatto che se le cose non sempre funzionano come vorremmo, o se funzionano secondo modalità che non ci attendiamo, è forse perché ci siamo formati delle aspettative e poi le abbiamo trasformate in certezze. Questo, come ovvio, non sempre è un bene perché tendiamo a sostituire la realtà con le nostre ossessioni o con quello che desideriamo.
Beninteso, ognuno di noi prima o poi si imbatte in queste “proiezioni”, ma il tema dello sviluppo economico è particolarmente insidioso a questo proposito: da un lato, c’è chi sostiene che lo sviluppo sia un processo desiderabile ma non dipenda esclusivamente da fattori tecnici, dato che anche gli aspetti distributivi sono importanti ed hanno una natura puramente sociale; dall’altro, c’è chi pensa invece che lo sviluppo non sia un processo desiderabile e in questo caso l’obiettivo è sostituire una componente “tecnica” (che garantirebbe la crescita) con una componente “sociale” (che favorirebbe la decrescita). Ora, è evidente che la tecnica degli economisti in sé non spiega proprio un bel nulla, ma dovrebbe essere altrettanto evidente che inserire nell’analisi precondizioni che dipendono dalla nostra visione del mondo può generare certamente storie di successo, ma anche grandi fallimenti.
Così ci troviamo a sorprenderci di come la sfera redistributiva, quando viene gestita in base a modalità di regolazioni locali, spesso è associata a pratiche che prevedono la corruzione (in genere nei paesi avanzati), se non l’eliminazione fisica dell’avversario politico (in alcuni paesi arretrati). E ci sorprendiamo come – in tempi di globalizzazione e di riduzione della povertà assoluta – si registrino flussi migratori tra i più elevati nella storia dell’umanità, in parte spiegati proprio da questa interazioni sociali.

E in modo analogo scopriamo che la decrescita, se depurata dalle nostre credenze più intime, può trasformarsi nel dramma della perdita di posti di lavoro, del decremento dei livelli di consumo e di benessere individuale, ecc.
Insomma, come è noto l’inferno è lastricato di buone intenzioni ed i cigni neri o i principi azzurri non esistono in natura, sono più verosimilmente la conseguenza di nostri comportamenti, della nostra attitudine a trasferire su altri individui / oggetti i nostri quadri di riferimento (framework), i nostri desideri e la nostra interpretazione della realtà.
C’è poi una seconda cosa che non torna ed è un po’ il contrario della precedente: se, da un lato, quando siamo coinvolti emotivamente dimentichiamo di fare astrazione, dall’altro, quando teorizziamo tendiamo a dimenticare tutto il resto della storia e spesso è una storia non secondaria. L’inatteso dipende anche dal fatto che spesso semplifichiamo troppo, che sovente siamo abituati a guardare alle cose all’inizio e alla fine di un percorso ma guardiamo raramente a cosa sta in mezzo e spesso quello che sta in mezzo è più importante di quello che c’era prima e di quello che ci sarà domani.
Tutti conosciamo il paradosso di Achille e della tartaruga: se Achille venisse sfidato da una tartaruga nella corsa e concedesse alla tartaruga un po’ di vantaggio, egli non riuscirebbe mai a raggiungerla, dato che dovrebbe prima raggiungere la posizione occupata precedentemente dalla tartaruga che, nel frattempo, sarà avanzata raggiungendo una nuova posizione che la farà essere ancora in vantaggio; ciò avviene per tutte le posizioni successivamente occupate dalla tartaruga e così la distanza tra Achille e la lenta tartaruga pur riducendosi verso l’infinitamente piccolo non arriverà mai ad essere pari a zero. Il paradosso è molto seducente perché presenta una tesi non banale come l’effetto di un processo logico tanto semplice quanto apparentemente incontrovertibile. Però presenta un grande limite: è falso!
Lo stesso accade nei pressi dello sviluppo economico, che potremmo ad esempio definire in termini di due parametri come la crescita economica e la distribuzione del reddito (ma trattandosi di un esempio ovviamente si possono considerare anche variabili differenti). In genere pensiamo che lo sviluppo economico sia un processo che ci conduce da un dato stato del sistema (cfr. arretratezza economica) ad una nuova e più soddisfacente condizione (cfr. sviluppo economico). Questa transizione è stata spesso immaginata come un processo lineare ma, ovviamente, non è così: spesso capita che solo uno dei parametri migliori, mentre l’altro non migliora o addirittura peggiora; tra i casi possibili si può avere un aumento della crescita economica ma una distribuzione del reddito che diventa tendenzialmente più ineguale ovvero un miglioramento della distribuzione del reddito o un rallentamento dei tassi di crescita.

Ovviamente questa non linearità complica non poco le cose perché rende difficile comprendere chiaramente la dinamica del sistema economico. In base alla nostra scala di valori saremo indotti a giudicare in modo differenti le opzioni di second best: data la situazione iniziale, come possiamo giudicare la transizione verso uno stato in cui i tassi di crescita economica sono più elevati (più contenuti) ma la distribuzione del reddito è più ineguale (meno diseguale)? il sistema economico tende a svilupparsi o si allontana dall’obiettivo desiderato?
In questo caso, quindi, complicare il discorso economico rende difficile comprendere le dinamiche dello sviluppo economico, soprattutto quelle di breve periodo. Forse è possibile ricomporre il quadro interpretativo se si collocano le informazioni di cui disponiamo in un ottica di lungo periodo, se non secolare, ma è un esercizio che – a dispetto del fatto che a me piace fare – non ha una reale domanda di mercato: come disse un economista indiano che conobbi molti anni fa “gli economisti dello sviluppo hanno una produttività marginale prossima a zero”.
Vorrei concludere con una nota di ottimismo e, spero, di buon umore. Lo sviluppo economico è cambiamento, superamento di uno stato preesistente e questo si può applicare anche agli economisti dello sviluppo (quelli bravi) o a quelli che sono solo appassionati della materia (quelli come me).
C’è questo libro (Roy Lewis, What We Did to Father, Hutchinson, 1960) scritto da un giornalista dell’Economist – quindi un economista o qualcuno che comunque si aggira da quelle parti – che è “il racconto comico della scoperta e dell’uso, da parte di una famiglia di uomini estremamente primitivi, di alcune delle cose più potenti e spaventose su cui la razza umana abbia mai messo le mani: il fuoco, la lancia, il matrimonio e così via”. In effetti, sotto la guida del capofamiglia, Edward, la tribù realizza miglioramenti del proprio tenore di vita senza precedenti: non solo scopre il fuoco e la lancia, ma soprattutto la divisione del lavoro che – come raccontato da Adam Smith – consente ai membri della famiglia di specializzarsi in alcune attività e di divenire più produttivi. L’innovatività di Edward è tuttavia sopportata con crescente fastidio dai membri della sua famiglia, che decidono di eliminarlo proprio attraverso la sua ultima e geniale invenzione, l’arco.
Nel romanzo viene spiegato come – attraverso la divisione del lavoro – sia possibile realizzare miglioramenti di produttività. Come – attraverso il racconto di esperimenti che talvolta falliscono e talvolta hanno successo, ma che in ogni modo procedono in modo non lineare – sia possibile innovare combinando opportunamente le risorse disponibili. Tuttavia, l’aspetto che più mi preme sottolineare è che se è vero che lo sviluppo economico rappresenta in qualche modo il superamento dei limiti che la natura ci pone (nel senso che riesce a fornire una quantità di prodotti crescente a partire da una dotazione di risorse che invece è scarsa), è altresì vero che non può procedere a dispetto delle leggi della natura. E la principale legge della natura è che il rinnovamento è possibile solo se nuove energie, nuove idee, nuovi processi (ri)produttivi sostituiscono quelli in essere.
Esiste quindi una ragionevole speranza che smetteremo presto di fare danni … D’altra parte, è anche bene sapere che chi verrà dopo di noi verosimilmente commetterà errori molto simili ai nostri, alimentando nuovi processi di sviluppo economico.
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