You cannot get educated by this self-propagating system in which people study to pass exams, and teach others to pass exams, but nobody knows anything. You learn something by doing it yourself, by asking questions, by thinking, and by experimenting
Richard Feynman
La tendenza attuale della mia bolla sul “tuitter” è la polemica – a me pare spesso con i caratteri dello shitstorm – nei confronti di Iman Jane, giovane donna che si occupa di una pagina instagram dedicata all’informazione economica: il sito non lo conoscevo (ok, sono un boomer), gli ho dato un’occhiata e mi pare – a differenza di alcuni altri esperimenti di informazione che mi è capitato di vedere su instagram – di qualità non eccelsa. Ma il punto non è tanto la qualità della pagina instagram, quanto piuttosto il fatto che (a) Imen Jane aveva più volte dichiarato di essere laureata in economia mentre successivamente ha ammesso di non esserlo e (b) non avrebbe quindi le competenze per svolgere quel compito.
Sull’aver mentito sul suo titolo di studio è indifendibile e non sarò quindi certo io a difenderla: millantare un titolo che non si ha non è certo il massimo della correttezza ed andrebbe in qualche modo sanzionato (mi pare lo sia stato, tra l’altro, almeno da un punto di vista sociale).
Sul secondo tema vorrei invece dire qualcosa che attiene non tanto alla questione specifica, ma al nostro modo di intendere le competenze: e su questo aspetto la questione specifica aiuta molto bene a chiarire alcuni concetti.
Cosa fa un economista: il mismatch orizzontale
Intanto c’è un problema di definizione delle competenze, che nel seguito – con un’eroica semplificazione – considereremo come la capacità di svolgere in modo efficiente una data mansione. Ma naturalmente questo non risolve il problema in sé, perché occorre sapere in cosa consiste precisamente la mansione da svolgere.
In molti casi le mansioni sono definite se non proprio rigidamente, almeno con un certo grado di accuratezza: si pensi alla certificazione delle competenze in ambito informatico o in quello dell’installazione di impianti o ancora a tutte quelle professioni per le quali esistono degli Albi professionali e che richiedono quindi il superamento di un esame.
Ma l’economista cosa fa di preciso? Esiste un albo degli economisti? Esistono titoli di studio che abilitano alla professione dell’economista? Esistono tecniche universalmente riconosciute che è necessario conoscere per essere economisti?

Ecco, un albo degli economisti non esiste.
Quanto al titolo di studio, una laurea in Economia non è necessaria per essere un economista: uno dei più influenti economisti degli anni Settanta, Claudio Napoleoni, non era nemmeno laureato; Francesco Giavazzi è laureato in Ingegneria e Mariana Mazzucato è laureata in Storia delle Relazioni Internazionali, per citare solo alcuni tra i più noti (in realtà ce ne sono molti altri). Né la laurea è sufficiente, perché ciò significherebbe che avremmo in Italia tanti economisti quanti laureati in Economia.
Questa storia che alcune mansioni sono svolte da persone che non hanno studiato per fare proprio quelle cose lì che stanno facendo, il cui field of study non è coerente con il lavoro svolto, è una forma di disallineamento delle competenze domandate dalle imprese – in questo caso le Università – ed offerte dai lavoratori – stavolta gli studiosi – ed è conosciuto come mismatch orizzontale (1). Tale forma di disallineamento è presente in moltissimi settori dell’economia e non si capisce perché non dovrebbe in qualche modo riguardare anche l’essere un economista: a me pare un criterio non adeguato per verificare se una persona è un grado o meno di svolgere una data mansione.
Forse, e questo vale anche per la cassetta degli attrezzi dell’economista, il giudizio tra pari potrebbe semplificare molto le cose, risparmiandoci tra l’altro lo spettacolo di economisti che fanno i forti con i deboli, quasi bullizzandoli: che ci piacciano o meno, Napoleoni – quello che non era laureato (e che è mancato 32 anni fa e quindi non sarà probabilmente conosciuto dai più giovani… ok, sono ancora un boomer) – ha un H-index di 25, Giavazzi di 57, Mazzucato di 42 e questo vuol dire che sono autori molto letti e molto citati dagli altri economisti.
Il corollario è che non è importante il livello educativo raggiunto, ma la formazione nelle materie di specializzazione. E se è vero che il riconoscimento accademico è metro di giudizio rilevante è anche vero che la formazione è un processo dinamico, che si svolge in tutto l’arco di una vita: pretendere che, per aver accesso al dibattito, si siano raggiunti risultati in termini riconoscimento è una formidabile barriera all’entrata per i più giovani ed una formidabile rendita di posizione per i più anziani; credo ci debba bastare (e che sia necessario verificare periodicamente) che i più giovani continuino il loro percorso formativo.
Cosa fa un influencer: il mismatch verticale
La seconda questione riguarda le competenze che si ritiene debba avere un individuo per fare informazione economica, pur se su instagram.
Molti hanno scritto che sarebbe stato meglio che Imen Jane non avesse fatto informazione economica dato che non aveva sufficienti skill per svolgere questo compito. Ma esistono anche casi di persone che sono overskilled rispetto all’attività di informazione economica che stanno svolgendo: sempre per rimanere nella mia bolla, mi viene in mente il gruppo di economisti e giuristi che si muove intorno alla figura di Michele Boldrin (cfr. l’iniziativa di LiberiOltre) o la recente costituzione di un network di studiosi recentemente costituitosi sotto la guida di Thomas Manfredi e Gianluca Codagnone (cfr. Cross Words).
Ovviamente qui si dà per scontato che la principale competenza che debba avere chi fa informazione economica sia la conoscenza – almeno basica – dell’economia e che invece le doti di comunicazione/capacità di veicolare informazioni non siano così poi rilevanti. A mio avviso non è così, ma in fondo non è così importante.
Per me è più importante sottolineare come il fenomeno dell’overskilling/underskilling caratterizzi il cosiddetto mismatch verticale (2) ovvero il fatto che domanda e offerta di competenze si incontrino su un terreno comune – per l’appunto quello delle competenze da scambiare (le competenze domandate e quelle offerte sono le stesse) – ma che il livello delle competenze domandate non trovi riscontro nel livello delle competenze offerte. Ciò può essere dovuto sia a carenze nella formazione iniziale, ma può essere dovuto anche a obsolescenza delle competenze: ad esempio, è chiaro che i modelli macroeconometrici in voga fino agli anni Settanta erano costruiti con criteri e competenze radicalmente differenti da quelli utilizzati oggi.

Il rimedio all’underskilling è nuovamente l’attività di formazione, che consente di adeguare il patrimonio di competenze dell’offerta alle necessità della domanda. Nelle situazioni di overskilling è invece preferibile che l’offerta si rivolga ad una domanda di livello qualitativo superiore (tra l’altro, mi pare la scelta fatta da Cross Words rispetto a LiberiOltre, da cui Manfredi e Codagnone provengono).
Nuovamente, l’unica cosa che a titolo puramente personale mi sento di suggerire è di fare attenzione a ritenere – come accade spesso nelle discussione sui social network – che situazioni di disallineamento possano essere superate esclusivamente escludendo i profili meno qualificati dai mercati. Una situazione di disallineamento verticale – specie per i profili underskilled – non è un cul de sac dal quale non si può uscire e la formazione, che – ripeto – è un processo eminentemente dinamico, è spesso lo strumento per superare l’impasse [in copertina l’immagine di Quill, il cane guida a cui è stato dedicato un film che racconta della sua formazione e del suo ruolo nella società].
E per concludere…
… una riflessione divertente (per me, i più permalosi forse non la prenderanno bene) ed una più triste (sempre per me, forse ad alcuni andrà invece bene così).
Riflessione divertente. Questa storia mi ha insegnato che gli economisti sono quella categoria che per tre mesi ha parlato, scritto, fatto grafici e modelli su un evento – il Covid-19 – di cui non conoscevano assolutamente nulla (mismatch orizzontale) per poi prendersela con una giovane donna per il fatto di essere – tra le altre responsabilità che ha e che ho evidenziato all’inizio – sottoqualificata ovvero di non conoscere abbastanza la materia di cui parla (mismatch verticale). Insomma, meglio parlare di una cosa di cui non si sa nulla che non di una cosa di cui si sa poco.
Riflessione amara. Mi piacerebbe che la disciplina dell’economia – di cui non faccio parte ma con la quale ho molte relazioni – fosse molto meno competitiva, più aperta a discutere anche con i non addetti ai lavori in senso stretto e soprattutto meno feroce con i più deboli (e Imen Jane è giovane, donna e figlia di immigrati). Un caso di discriminazione – quindi diverso da questo, nel quale la protagonista ha le sue belle responsabilità – è emerso recentemente negli Stati Uniti e Dani Rodrik ha scritto una serie di tweet che condivido: a mio avviso non sarebbe male provare a fare qualche passo in quella direzione.
NOTE
(1) Ad esempio, Cedefop, The skill matching challenge, Cedefop, 2010; Müge Adalet McGowan, Dan Andrews, Skill Mismatch and Public Policy in OECD Countries, OECD, 2015; Seamus McGuinness, Konstantinos Pouliakas, Paul Redmond, How Useful Is the Concept of Skills Mismatch?, IZA Discussion Paper, n. 10786, may 2017.
(2) id.
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Bellissimo post. Il concetto di mismatch, che non conoscevo, è davvero interessante.
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Grazie molte. Come è gentile!
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